Installazione
Viola Di Massimo per questa sua opera, crea un labirinto classico a sette circuiti: qualcosa di profondamente antico trovato in civiltà talmente distanti fra loro da non comprendere come si sia potuto creare una forma simile a distanza così estesa di spazio e tempo.
Da “I misteri della Cattedrale di Chartres” di Louis Charpentier : Un cammino scritto sul suolo… e forse una lenta evoluzione dell’uomo che lo percorre. E ancora. I gitani danzano a piedi nudi sulla terra.
…
Giunto al centro del labirinto, dopo averlo percorso ritualmente, dopo averlo “danzato”, l’uomo sarà trasformato, nel senso dell’apertura intuitiva alle leggi e alle armonie naturali; armonie e leggi che forse non comprenderà, ma che sentirà in sé, con le quali sarà solidale (…)
Rispetto per la terra, i piedi scalzi, le danze “telluriche”, l’evoluzione dell’uomo, trasformazione, qualcosa che la colpisce profondamente e che le appartiene tanto da sentire l’urgente bisogno di costruire un labirinto.
Con l’aiuto di Andrea Amato inizia la costruzione e ci rivela che si muove come Gargantua (il portatore di pietre sacre), e trasporta, affaticata e fiera, pietre e pietre profondamente orgogliosa di volersi sentire, immaginare, parte della tribù dei gargantuata.
L’opera inizia come sempre dall’idea che si insinua e diviene ossessione, dal bisogno improrogabile per poi continuare con la realizzazione e, come ogni volta, procede con tutta la forza che ha -in questo caso- per sollevare la prima pietra fino all’ultima, con la medesima, inalterata, motivazione.
515 pietre posizionate una dietro l’altra: persevera nella costruzione pietra dopo pietra, ma nel frattempo dubita di sé e dell’opera perché un labirinto viene da uomini lontani, appartiene alla terra, è sempre stato della terra e anche le pietre che lo compongono lo sono e lo sanno, ma nonostante i pensieri bui e i dubbi, decide di andare avanti perché prende atto del fatto che proprio i dubbi e i timori fanno parte di questo percorso. Nei tanti labirinti antichi al centro vi era sempre rappresentata l’immagine di un cavaliere che uccideva il Minotauro. Si dice che il Minotauro corrisponda alle nostre paure, al nostro buio. Forse spesso non abbiamo voluto intraprendere il viaggio al centro di noi stessi, molte altre volte invece abbiamo avuto il coraggio di farlo, infinite altre lo faremo ancora per sconfiggere il buio dentro di noi, ritrovare il proprio credo, il proprio altrove, e ritrovarci ogni volta.
Mentre l’artista carica e sistema pietre con cura, mentre i dubbi (o i Minotauri), continuano a confondere la sua mente è comunque sempre più convinta: vale la pena l’intraprendere il viaggio, trovare il centro e… non ascoltare i Minotauri.
“Ho trasportato pietre, anche se non sono un gigante, per costruire un percorso che somiglia ad infiniti altri, ma in realtà, forse, ad uno solo.”
All’entrata Viola ricopre due piccoli menhir di circa 60cm di altezza di una scritta sconosciuta dal nome Naòm che usa nei dipinti, un alfabeto che è in sintonia con la pietra, con la natura, la terra; per completare l’atto avvenuto e renderlo eterno.
Dipinge una pietra iniziale con una figura femminile dall’incarnato lunare, una ninfa nata in quel luogo di neve sole e pioggia, col compito di proteggere il viaggiatore. Su alcune pietre che compongono il percorso spiccano dipinte perle di collana color nero marte: simbolo di momenti, frammenti di vita, esperienze, trasformazioni.
Bene, il labirinto è finito, ma l’autrice sente che le sfugge qualcosa e, come quasi sempre accade quando realizza un’opera, ogni notte l’opera-labirinto le viene in sogno come un tormento e ne costruisce infiniti altri tante e tante volte, in luoghi e spazi diversi, con colori e materie diversi, l’ossessione non desiste:
“È estenuante perché nel sogno tutto è sempre vero, fatica compresa.
L’ossessione non si è placata fino a quando una notte vidi chiaramente che il Minotauro non era nel centro, ma dietro ogni pietra, esattamente dietro ogni passo che compivo. Ho ripensato al mio dubbio e alle mie paure sul senso dell’opera che mi hanno accompagnata ad ogni passo durante la costruzione, ed allora ho capito che il vero centro è nel viaggio e la mia opera, finalmente, ha trovato identità, pace, e titolo.
Ora non mi rimane che percorrerlo e la trasformazione, l’opera, sarà compiuta.”
F.M.
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Ad ogni passo un Minotauro
Finisco il labirinto entrandoci dentro, divento un dipinto: indosso il cappello rosso, il vestito nero e la collana più lunga che ho perché da oggi avrà una perla in più, una trasformazione in più.
Lascio la scarpa all’entrata davanti ai menhir (rimanere scalza mantiene il mio contatto con il reale e la terra). Sono altro, inizio a camminare, sento i Minotauri che dicono di fermarmi, che sbaglio, che non servo, un insieme di lamenti che si impastano fra loro come suoni lontani, ma io ad ogni passo trovo il mio centro e, vado avanti, con lentezza, perché devo sentire l’erba sotto i piedi, il mio viaggio, quello di tutti.
Sento la terra, chi ci vive e ci ha vissuto, sento l’umido del terreno, i suoi abitanti. Il sole, l’aria che sfiora, cammino adagio e attenta verso il centro.
Ad ogni passo un Minotauro, paura e tormenti entrano nella mia parte reale e irreale, ancora strada, 60 metri: una vita.
Eccolo il centro, la mia sedia viola mi aspetta e anche il mio cuore nero. Con lentezza mi siedo, tolgo il cappello perché nel centro la realtà e l’irrealtà si fondono: sono verità tutte e due.
Vivo la sedia e il momento come l’unione di passato futuro e presente in un atto e una forma unica.
Rimango lì ore o forse secondi, non importa, sta accadendo qualcosa e tutto diviene suono.
Adesso devo tornare, dicono che una volta tornati si avrà una consapevolezza nuova, non so se sarà così ma vivo il ritorno come un altro viaggio. I Minotauri non mi attaccano, hanno rispetto per il fatto che io sia andata avanti e li abbia sconfitti, mi lasciano passare.
L’ultimo Minotauro prima di uscire mi ferma e mi dona una perla in più da inserire nella mia lunga collana, non dice nulla, ma conosco bene l’importanza del dono: un’altra perla nera per la mia collana perché lì dentro è accaduto qualcosa, è contenuta una trasformazione.
Esco, mi volto e guardo il labirinto, guardo il mio viaggio o quello di tutti, leggo la scrittura sui menhir e sorrido. Penso che ad ogni passo che farò ancora e ovunque, troverò un Minotauro, ma poi penso che ora so qualcosa in più: il vero centro, è nel viaggio e l’opera è compiuta.
Viola
L’osservazione di A.Volterra:
Un percorso verso il limite dato dalle paure quando si affronta un labirinto, quello quotidiano, o quello simbolico fatto con pietre affondate nella vera terra.
Un labirinto opera che vale per tutti i giorni e le notti, che racconta tutti i giorni e le notti, ogni momento in cui combattiamo come una delle ultime opere di Viola realizzata dal titolo “Ad ogni passo un Minotauro”, labirinto di pietre, 2015.
Se la vita è una guerra d’altronde, il nemico non è certo fuori dal nostro corpo. Istanti che si ripetono, in cui la paura, il Minotauro, diventa reale e vuole divorarti. Ebbene questo viaggio, o meglio, questa esplorazione del limite da parte di Viola, mostra chiaramente la linea sottile quasi inesistente tra lo spingersi oltre, termine caro all’artista, e il restare li dove si è, ovvero non arrendersi ma peggio, lasciarsi sopraffare senza nemmeno provare a lottare.
Viola Di Massimo si spinge oltre da sempre, questa è la sua necessità, la sua ossessione, ciò che la fa andare avanti. Questo percorso nel saggiare continuamente il proprio coraggio e raccogliere le forze per andare oltre la paura, accettarla sì ma non subirla, esattamente questo è riflesso condizionato della sua opera tutta.