Che tu sia per me legame e liberazione.
Dal 1995, anno in cui iniziai a vendere le mie opere, ogni volta che una di loro se ne va dal mio studio soffro un po’, ma sono certa che l’acquirente ne avrà cura. Molti ne saranno legati per sempre da un amore profondo e ne comprenderanno un particolare denso senso, molti perché l’hanno semplicemente “pagata”o perché “sta bene con le pareti”. Ovvio che la prima opzione è quella che mi appaga di più e l’ultima ha rischiato di mandarmi in crisi depressiva, ma questi sono i compromessi e nulla c’è da fare a riguardo.
Il fatto è che quando un’opera è finita e si presenta al pubblico, non ne ho più diritto, se non giusto il diritto d’autore e il saperla “mia” per sempre in me, come esperienza di vita o esperienza condensata, come nelle perle nero marte.
Fra le opere d’arte vendute, buttate per rabbia, terremotate o accidentate mi manca l’opera d’arte… bruciata. Eh sì , perché capita anche questo: un anno fa conobbi una donna dalla capigliatura folta e argentea, dalle argomentazioni più varie e dallo sguardo da Ianara.
Decide di acquistare un’opera e mi spiega per filo e per segno perché questa tecnica mista per lei è così importante. Per prima cosa ho un sussulto, appunto, dell’io, del mio ego raramente appagato come artista perennemente in subuglio, e inizio un viaggio nei suoi riferimenti di vita, nei simbolismi, nella nudità intesa come qualcosa che va oltre, nelle spirali, le perle, i colori, i movimenti delle linee che sembrano fiori del male e del bene in cambiamento perpetuo. Un bel viaggio, non c’è dubbio.
Mi racconta la sua esperienza di vita avuta tempo addietro, un vissuto importante di quelli che servono alla trasformazione di se stessi e questa esperienza è raccolta tutta, ma davvero tutta, dentro un piccolo dipinto su carta, il “mio”.
Ciò mi commuove.
Incontrare, in un’altra dimensione, qualcuno che non si conosce lo trovo qualcosa di estremamente potente. E’ trovarsi in un terreno comune, uno spazio sacro senza mai essersi visti prima.
Ammaliante.
Un anno dopo, la conoscenza è andata avanti perché “dovevo”, lo dovevo a me stessa. Gli individui interessanti sono viaggi da fare per ampliare il proprio sapere, la propria filosofia e la propria conoscenza e certamente mi sono arricchita ma (c’è sempre un ma), questa figura dai capelli sempre più argentei e dai saperi sempre più ampi e originali prende una decisione che mi comunica con candore: “Viola, ho deciso di bruciare la tua/mia opera e vorrei che ci fossi anche tu durante l’atto”.
Un rigo di silenzio ci sta bene perché è lo stesso silenzio che ho avuto quando ho appreso la notizia.
Ho pensato: questa persona mi sfida! Ho già sofferto per un’opera terremotata che viveva a Visso da anni, ovvio che la cosa più terribile è la casa crollata, ma intimamente ho comunque sofferto per l’opera sotto le macerie e non potevo farci nulla.
Ma un’opera bruciata, per giunta volontariamente, perché?
Cerco di opprimere l’ego che scalpita, di comprendere, di andare “oltre” come dovrei, ma io sono la madre è impossibile che come tale possa comprendere… però, sì, posso capire come artista, come qualcuno che ha scelto di trasformarsi di continuo e quindi sì, non condivido ma capisco: è un vero e proprio rito, è qualcosa che va oltre la forma e l’immagine e le due dimensioni dell’opera. Purificare e liberare finalmente dal tempo e dallo spazio qualcosa che si è vissuto e metterlo dentro di sé per sempre, ad accrescere l’essenza di se stessi…
E allora Rosa Maria Patti cara, quest’opera bruciala, falla tua del tutto e fa sì che questo rito sia qualcosa da portarsi dentro, io ci sarò… però, da madre ti chiedo: potrò tenere almeno le ceneri???
Viola Di Massimo